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Citate din gândirea profundă a europeiştilor RO
Călin Popescu-Tăriceanu, 2008: "Vom da astăzi, în Parlamentul României, un vot istoric - votul pentru ratificarea Tratatului de reformă al Uniunii Europene. Pentru România este mai mult decât un moment festiv. Ratificarea Tratatului de reformă marchează o etapă. Spun acest lucru din două motive. Pe de o parte, este o primă etapă pe care noi am parcurs-o în cadrul Uniunii Europene, după aderarea de la 1 ianuarie 2007. Am avut şansa să contribuim la negocierea şi la construirea acestui Tratat, beneficiind de aceleaşi drepturi şi având aceleaşi obligaţii ca oricare altă ţară europeană. Este cel dintâi tratat european semnat de România, în calitate de stat membru al Uniunii Europene. Simbolic, este primul document al Europei extinse, negociat şi semnat în format UE 27. Pentru toate aceste motive, odată cu ratificarea de către Parlament, putem spune că este cel dintâi tratat european pe care România îşi pune efectiv amprenta, conform intereselor sale, nemaifiind în postura de a prelua ceea ce au negociat şi au decis alţii. Doamnelor şi domnilor senatori şi deputaţi, în urmă cu trei ani, prin votul dumneavoastră, România a ratificat Tratatul constituţional ["Constituţia UE", caducă], odată cu ratificarea Tratatului de aderare la Uniunea Europeană. Aşa cum ştiţi, Tratatul constituţional nu a putut intra în vigoare. Din fericire, aşa cum noi am susţinut în timpul negocierilor, inovaţiile din acest document au fost preluate în Tratatul de la Lisabona. Aceste inovaţii sunt un pas înainte faţă de tratatele europene în vigoare acum."
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4 comentarii :
Si iniziò a discutere di un sistema a cambi fissi in Europa già verso la fine degli anni '70, perché finito il cosiddetto regime di Breton Woods e quindi la parità dei cambi rispetto al dollaro e la convertibilità del dollaro con l'oro, in Europa si cominciò a discutere appunto di un sistema che irrigidisse i cambi. Questo per un motivo semplice: in un'economia aperta, in un'economia globalizzata, dove vi è la circolazione libera delle merci, dei capitali e dei servizi, chi ha il capitale desidera la rigidità dei cambi proprio per poter investire là dove conviene di più, senza rischiare di perdere proprio a causa della fluttuazione del cambio. Ebbene, si iniziò a discutere, si iniziò ad implementare anche un primo sistema che si chiamò “serpente monetario”, che ebbe poco successo, e poi si iniziò a parlare di un sistema più forte, più rigido: il Sistema Monetario Europeo (SME). Si iniziò a discutere quindi dell'adesione dell'Italia a questo sistema.
È interessante perché all'epoca le forze di opposizione storica, come il PCI, erano sostanzialmente in maggioranza, cioè il governo che discusse dell'adesione allo SME nel 1978 era un monocolore DC, guidato da Andreotti, con l'appoggio esterno del PCI. Quindi ci fu un ampio dibattito, rispetto alle possibilità di aderire a questo sistema, dei pro e dei contro all'adesione dell'Italia. Emersero dai dibattiti parlamentari molte cose interessanti. Ve ne cito alcune specificatamente, così ve le potete andare a cercare, perché il PCI dell'epoca cercò, come dire, di mettere dei paletti rispetto alla costruzione del sistema monetario europeo, che facessero sì che i rischi per l'Italia diminuissero sostanzialmente. Questi rischi erano appunto quelli dovuti al fatto che un paese meno competitivo come l'Italia, con un'inflazione strutturalmente più alta rispetto a quella della Germania, con un cambio fisso non avrebbe più potuto recuperare competitività, quando serviva, svalutando la moneta e quindi avrebbe dovuto inevitabilmente trasferire i necessari aggiustamenti nell'economia interna. Come? Svalutando i salari, cioè andando ad attaccare i salari, i guadagni delle persone, e facendo in questo modo contenere i consumi e quindi contenere l'inflazione. È esattamente quello che sta accadendo adesso. Si sapeva perfettamente che lì si andava a parare.
Qual è il problema di tutto questo? Che chi propone uno scenario di questo tipo dice, ovviamente, che se si crea un super governo europeo che decide tutto questo, deve essere un governo democratico, naturalmente, e quindi bisogna democratizzare l'Unione Europea. Questo è un punto assolutamente fondamentale. Non esiste nessuna possibilità di democratizzare l'Unione Europea, non esiste nessuna possibilità di costruire un governo democratico europeo. Il motivo, in sintesi, è molto semplice, perché non esiste un popolo europeo. A meno che non si creda che democratizzare l'unione europea voglia dire che gli Stati nazionali eleggono un po' di parlamentari in un Parlamento europeo – cosa che avviene già, peraltro – e che poi questo Parlamento costruisce un esecutivo, un governo – cosa che oggi non avviene perché l'esecutivo è costruito direttamente dagli Stati, ma domani potrebbe avvenire – a meno che non si pensi che la democrazia sia tutto lì, è abbastanza chiaro che non c'è nessuna possibilità di democratizzare l'Unione Europea. Dalle rivoluzioni francesi in poi l'idea di democrazia rappresentativa – lasciamo stare l'idea di democrazia partecipativa, che a me piace molto di più, ma non è questa la discussione adesso – si fonda sul fatto che un qualunque governo per essere qualificato come democratico, non solo deve rispondere a un Parlamento, cosa ovvia, ma deve rispondere a un'opinione pubblica e deve rispondere alle forze sociali che i cittadini liberamente costruiscono. Ed è quello che avviene esattamente in tutti gli Stati nazionali. Ogni governo si confronta e con l'opinione pubblica e con associazioni, sindacati, gruppi di ogni tipo, quelli che i cittadini costruiscono. Tutto questo non esiste a livello europeo, esiste solo a livello nazionale perché i cittadini sono divisi, i popoli europei sono divisi tra di loro.
Per poter creare questa opinione pubblica e queste forze sociali sono necessarie almeno tre condizioni. La prima delle condizioni è una lingua comune, per motivi abbastanza evidenti. Una seconda condizione è una significativa mescolanza delle popolazioni, cioè ci deve essere un periodo in cui effettivamente in vari popoli smettono pian piano di essere tanti popoli e diventano uno, perché si capiscano hanno una lingua comune e perché effettivamente tra di loro si mescolano, e non è solo un problema della lingua, c'è il problema degli usi, delle tradizioni, delle mentalità che piano piano possono confluire verso un'unità, ma ci vuole del tempo, molto tempo perché questo avvenga. Il terzo elemento è un sistema di media, di informazione, di circolazione delle informazioni complessivo, generale e accessibile, che consenta appunto la formazione di un'opinione pubblica. È abbastanza evidente che tutto questo è presente in varie forme negli Stati nazionali ed è completamente assente a livello europeo. Di conseguenza la formazione di un governo europeo non sarebbe nulla di democratico. Cioè al sogno ipotizzato da qualcuno di una grande Europa democratica, unita e pacifica e solidale, si contrappone la dura realtà, il terribile incubo della maggiore unione politica all'interno dell'Unione Europea, che non può che trasformarsi, per questi motivi, in un super Stato con poteri semi-assoluti, perché a questo punto potrebbero decidere quasi tutto, e rispetto al quale non vi è possibilità di un confronto con le forze sociali che nascono tra i cittadini e nella società.
Fuori dall'Italia è un po' più chiaro questo, devo dire che un intellettuale importante del pensiero della decrescita, come Serge Latouche, dice chiaramente queste cose in uno dei suoi ultimissimi libri, “Per un'abbondanza frugale”, dice esplicitamente che per i PIGGS, cioè i paesi in crisi dell'eurozona è necessario abbandonare e per rilanciare una politica come propone lui di riconversione ecologica, di sostegno all'economia del chilometro zero, delle autoproduzioni, eccetera, bisogna assolutamente liberarsi dall'euro e dai vincoli del mercato unico dell'Unione Europea; viene detto chiaro. In Italia invece si ha la percezione che questa chiarezza ancora non ci sia nei movimenti che lottano, giustamente, per l'affermazione di una democrazia partecipata, per la difesa dei beni comuni, non c'è ancora la necessaria presa di coscienza di quanto quelle scelte contro le quali combattono, cioè le privatizzazioni piuttosto che l'oligarchizzazione della politica, dipendono anche dall'appartenenza all'euro e all'Unione Europea, proprio per i motivi che indicavo prima rispetto alla spoliazione della sovranità degli stati e alla costruzione di un governo, di un ipotetico super governo europeo assolutamente non democratico. Se si vuole la maggiore partecipazione politica e attiva dei cittadini e la loro maggiore capacità decisionale, quindi la democrazia partecipata, occorre che si possa decidere, quindi è necessario averla la sovranità, altrimenti di cosa si decide? Anche questo elemento fatica ad entrare nella discussione pubblica. Quanti cercano di difendere il lavoro, giustamente? Quanti cercano di difendere i ceti sociali più aggrediti da questa crisi e che oggi si vedono appunto perdere il lavoro oppure perdere le condizioni di lavoro? E non si sa che cosa sia peggio, perché quando andiamo a vedere che cosa è il piano Marchionne o quando andiamo a vedere che cosa vuol dire perdere le tutele dei contratti nazionali di lavoro, vuol dire che tu sei sostanzialmente sempre a disposizione dell'azienda, vuol dire che tu puoi fare una quantità infinita di straordinario, anzi devi farla e lo straordinario che devi fare ti può essere comunicato anche un giorno, due giorni prima. Vuol dire che tutta la tua vita viene assolutamente asservita a quelle che sono le esigenze della produzione.
Attenzione, continuano a dirci che l'euro è irreversibile, ma il motivo per cui continuano a dircelo – lo ha detto recentemente il Presidente della Repubblica, lo ha detto recentemente Draghi, continuano a ripeterlo in Germania, continuano a ripeterlo dappertutto – è proprio il fatto che l'euro è reversibile, altrimenti non avrebbero nessuna ragione di continuare a dirlo, ma devono far credere che tale sia. Devono far credere che tale sia, perché essendo le criticità dell'euro così note e conosciute, ed essendo noto che soprattutto per i paesi più deboli sarebbe assolutamente conveniente un'uscita dall'euro, nel momento in cui un singolo paese dovesse abbandonare la moneta unica è molto probabile che questo sancirebbe l'immediata fine della moneta unica stessa. Perché? Perché a quel punto gli altri paesi deboli rimasti all'interno della moneta verrebbero aggrediti da attacchi speculativi molto maggiori rispetto a quelli che già abbiamo visto. Il perché è molto semplice: finché si pensa che l'euro sia irreversibile allora può avere senso comprare titoli italiani, spagnoli, greci stessi, ma se ipotizziamo che la Grecia, piccolo paese, uscisse dall'euro, a quel punto diventa chiaro che l'euro non è più irreversibile, quindi può essere reversibile per tutti, quindi è molto probabile che alla fin fine anche il Portogallo, anche la Spagna, anche l'Italia, escano dall'euro, dovendo attraversare tutto un primo periodo di problematiche effettive che questo comporterà. Quindi a questo punto l'attacco speculativo rispetto a questi paesi diventerebbe fortissimo e lo stesso attacco porterebbe molto probabilmente alla fine della moneta unica. Questo è uno degli scenari possibili ed è motivo per cui sostanzialmente la Grecia non è stata fatta immediatamente uscire dall'euro. La Grecia è un paese molto piccolo, un'economia molto piccola rispetto all'eurozona, obiettivamente non c'erano motivi di non lasciarla in pace, ma le scelte che sono state fatte sono tali proprio perché non possono permettersi di fare uscire nessuno dall'euro. L'euro è un gabbia dalla quale dobbiamo cercare di liberarci.
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